Il futuro del vino italiano in 3 parole: Stati Uniti, Cina e Qualità.
Una ricerca di Pasqua Cantine e Wine Monitor di Nomisma presentano i risultati della loro ricerca sull’export di vini rossi nel mondo.
Consumo di vino nel mondo, chi e quanto: in prima posizione troviamo la Cina, con 17,4 milioni di ettolitri consumati ogni anno. Seguono gli Stati Uniti, a 12,5 milioni, la Francia, a 10,6 milioni, e l’Italia, a margine del podio con i suoi 9,2 milioni. È questa la geografia mondiale del consumo di vino rosso che emerge dall’ultima ricerca di Wine Monitor di Nomisma, commissionata dall’azienda veronese Pasqua Cantine. Un’indagine che sottolinea l’importanza crescente del Far East e del mercato a stelle e strisce anche per i produttori storici del nostro Paese, e che evidenza un generale spostamento della clientela verso le proposte di qualità facendo maggiore attenzione per quello che finisce nel bicchiere.
A fronte di un mercato complessivo relativo ai rossi nostrani di 2,42 miliardi di euro all’anno, a fare la parte del leone è proprio il mercato nord americano, con gli Usa che catalizzano il 21% delle bottiglie esportate e il Canada il 9%. La Cina, dal canto suo, rappresenta ancora solamente il 3%, ma fa registrare un aumento del 76,7% rispetto a cinque anni fa: segno evidente che il suo mercato è in rapida e felice evoluzione, anche se la concorrenza francese è più che mai agguerrita e vincere ancora abbondantemente la competizione sul fronte dei vini rossi fermi imbottigliati esportati a livello internazionale. Le loro etichette detengono il 74% dell’export complessivo del settore: merito, soprattutto, dei prodotti della zona di Bordeaux, che da soli duplicano i risultati aggregati dei rossi toscani, veneti e piemontesi.
La tendenza, però, sembra favorire le proposte nostrane: nell’ultimo quinquennio la Toscana ha messo a segno un +8,4%, il Veneto un +12,5% e il Piemonte un +44,3%; mentre la quota di mercato dei vini di Bordeaux è arretrata del 12,3% in relazione all’export complessivo.
Come viene percepito il vino rosso italiano all’estero rispetto alla concorrenza? A dircelo è sempre lo studio di Nomisma che è andato a esplorare i sentimenti dei consumatori statunitensi, e in particolare dello stato texano.
Il quarto per dimensioni di mercato, dietro California, Florida e New York, con 2,2 milioni di ettolitri consumati nel 2017. In questo caso, i rossi italiani sono leader in quanto a valore delle importazioni, pari a 126,7 milioni di dollari nell’ultimo anno, e vengono percepiti a livello qualitativo come garanzia di qualità e di tradizione. Quello del lusso è invece un mondo ancora mentalmente legato alla Francia, mentre convenienza e innovazione vengono associate alla produzione statunitense.
Nonostante gli ottimi risultati in Texas, la Francia è ancora l’esempio da guardare a livello globale: è riuscita, per esempio, a penetrare con decisione il mercato cinese, e oggi la Cina rappresenta circa un terzo del suo export complessivo di vini rossi”, sottolinea Riccardo Pasqua, amministratore delegato di Pasqua Vigneti e Cantine. “Indubbiamente dobbiamo trarre insegnamento da questi numeri, perché i produttori francesi sono più bravi di noi a fare squadra e a creare collettivamente valore per i propri vini”.
Come fare per tallonare i francesi? Investendo in più fronti. Ce lo spiega lo stesso Riccardo Pasqua: “Da una parte serve investire in ricerca dal punto di vista commerciale, finanziando studi come quello che abbiamo commissionato a Nomisma sui comportamenti degli acquirenti, e soprattutto dei millenial. Ma servono anche investimenti in ricerca sul fronte della produzione, per capire quali saranno le nuove frontiere della sostenibilità: probabilmente presto gli attuali parametri del biologico saranno superati a livello comunitario, anche l’utilizzo del rame in vigna sarà vietato, e questo ci mette davanti all’esigenza di trovare nuove soluzioni”.
E poi serve, ovviamente, un’attenzione al #digitale: “Investiamo sullo sviluppo dell’online, dall’allestimento delle vetrine digitali alle #strategie per i #social media: un’opportunità di mercato che negli Usa è ancora frenata dalle diverse leggi in materia in vigore nei vari stati, ma che invece è più che vigorosa in Cina, dove portali come tmall.com di Alibaba sono pura quotidianità per milioni di utenti”.